Ci sono diversi tipi di infedeltà
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Cibo e Parola. In collaborazione con Maria di Chiamati alla Speranza.
FEDELTÀ E MISERICORDIA: IL NOME DI DIO
«Dio proclama il proprio nome! Lo fa alla presenza di Mosè, con il quale parlava faccia a faccia, come con un amico. E qual è questo nome di Dio? Ogni volta è commovente ascoltarlo: "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà" (Es 34,6).
Sono parole umane, ma suggerite e quasi pronunciate dallo Spirito Santo. Esse ci dicono la verità su Dio: erano vere ieri, sono vere oggi e saranno vere sempre; ci fanno vedere con gli occhi della mente il volto dell’Invisibile, ci dicono il nome dell’Ineffabile.
Questo nome è Misericordia, Grazia, Fedeltà».
(Benedetto XVI, Omelia, 17 maggio 2008)
La fedeltà è un attributo divino, il nome stesso di Dio, ciò che rende possibile l'instaurazione di un'Alleanza eterna e indefettibile con il popolo eletto, prima e con i credenti in Cristo, poi. Se tale Alleanza si fondasse solo sulla fedeltà umana non potrebbe resistere. L'uomo è incostante, traditore, incapace di tener fede alle promesse fatte. La storia biblica lo testimonia ampiamente, ma anche quella umana lo evidenzia. Si disfano le alleanze politiche, si sfaldano i sodalizi artistici, scoppiano i matrimoni, genitori si rivoltano contro figli e figli contro genitori, gli amici si allontanano o si avvicinano per tornaconto personale, o abbandonano proprio nel momento del bisogno; sul piano spirituale si fa esperienza del peccato mortale, che rompe l'alleanza con Dio.
Quando anche non si arrivi a tali disastrosi squilibri nelle relazioni umane e tra l'uomo e Dio, non per questo si annienta la natura instabile, incostante dell'essere umano. Le colpe veniali, i piccoli screzi interrelazionali, le ribellioni quotidiane a certi accadimenti o modi di fare altrui sono tutte cose che ricordano all'uomo la sua innata mancanza di "stabilità" e la lotta che deve condurre - giorno dopo giorno - per mantenersi fedele a Dio, agli amici, al proprio lavoro, alla famiglia… finanche a se stesso.
La fedeltà di Dio, al contrario, non viene mai meno.
FEDELTÀ DI DIO, SORGENTE DI OGNI FEDELTÀ UMANA
La fedeltà divina, proprio perché fondata sull'amore, diventa la sorgente di ogni fedeltà umana:
Digiunare dall’infedeltà
La fedeltà intesa come rispetto della parola data, mantenimento delle promesse scambiate, lealtà verso le persone con cui si è legati da vincoli affettivi o parentali, si presenta come un concetto dalle mille sfaccettature. Essa tocca le corde “sentimentali” dell’uomo (come nel caso della fedeltà in amore e in amicizia), ma anche quelle “razionali” (come nel caso, per esempio, della fedeltà in ambito lavorativo).
Il digiuno dall’infedeltà è spesso arduo per l’essere umano, proprio perché fedeltà/infedeltà non sono concetti astratti, ma coinvolgono la creatura nella sua totalità di corpo e di anima, di ragione e di sentimento. Così, il desiderio di sperimentare cose nuove la rende spesso volubile; gli interessi personali la trasformano in un essere calcolatore; il desiderio del guadagno facile la distoglie dai propri doveri; i “piaceri” la spingono alla trasgressione.
Da quante infedeltà si può allora digiunare, o, meglio, quali fedeltà dovrebbero nutrire l’essere umano?
a) Fedeltà tra sposi
La fedeltà coniugale è il paradigma per eccellenza della fedeltà. Quando due persone si uniscono in matrimonio si donano degli anelli, simbolo proprio di amore e di fedeltà. Il “patto” matrimoniale prevede anche lo scambio di una promessa, che vincola i coniugi fino alla morte.
Questo valore altissimo è testimoniato anche dal fatto che la Scrittura ricorre al simbolismo delle nozze per indicare l’amore infinito di Dio-Sposo per il suo popolo-Sposa; che Cristo sia lo Sposo della Chiesa; che un libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, narri proprio di una storia d’amore - anche in termini profondamente umani - tra un uomo e una donna.
La Scrittura non presenta la relazione coniugale come un percorso sempre semplice da affrontare. Vi è narrata una storia, quella del profeta Osea, che vive una dinamica matrimoniale tormentata, con una donna che lo tradisce. Ma la bellezza di questo personaggio è che agli alla fine comprende che, nonostante l’iniziale rabbia per il tradimento, l’amore per la sua donna è ancora forte in lui. Così riconquista la moglie e la riaccoglie in casa.
Cosa spinge Osea a rimanere fedele? Cosa gli consente di superare il trauma per l’infedeltà della persona amata, la ferita dell’amor proprio, la rabbia, la delusione?
Si potrebbe dire che la fedeltà nasce dall’ammissione di aver fatto “consapevolmente” una scelta. Il matrimonio non è imposto, è frutto di una decisione libera, fondata sull’amore. Vivere la relazione coniugale nella fedeltà è, allora, “digiunare” da tutte quelle forme di grandi/piccole infedeltà che possono minare il mantenimento di quella scelta. Essere fedeli nel matrimonio è rinunciare a parte del proprio tempo, per passarlo con l’altro e per il bene dell’altro; è privarsi di un divertimento costoso, per alimentare il budget familiare; è sacrificare desideri personali in contrasto con il bene della famiglia; è rinunciare a parte del proprio riposo per occuparsi dell'altro; è saper distinguere l’amore vero (come sentimento che si trasforma e si costruisce col passare del tempo) dall'innamoramento iniziale, dalle passioni momentanee, dal desiderio di cambiamento che potrebbe spingere anche al tradimento; è sapersi, in una parola, “donare” all’altro.
Vivere la relazione coniugale nella fedeltà è rimanere fedeli a se stessi, all’amore che si è provato/si prova verso il proprio coniuge, alla libera scelta di costruire con l’altro una famiglia. La fedeltà coniugale esige un sì che si rinnova ogni giorno.
La fedeltà degli sposi può e deve alimentarsi dall'amore fedele di Dio, lo sposo della Chiesa sposa: «Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il Matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio» [7].
b) Fedeltà tra genitori e figli
Quello tra genitori e figli è il primo rapporto in cui l’uomo sperimenta la necessità/il dovere di essere fedeli. All’interno del nucleo familiare di origine l’essere umano comprende che esistono delle “promesse implicite” da mantenere, che scaturiscono dal legame parentale. La Sacra Scrittura affronta l’argomento in termini molto concreti, riconoscendo che i figli sono da considerare una benedizione per i genitori, come sottolinea il salmista «Ecco, eredità del Signore sono i figli, è sua ricompensa il frutto del grembo» (Sal 127,3); ma anche riconoscendo che la fedeltà si esprime in termini di riconoscenza, di rispetto, di ascolto: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Es 20,12). «Maledetto chi maltratta il padre e la madre!», si legge, in toni forti, nel libro del Deuteronomio (Dt 27, 16). I Libri sapienziali insistono sull'argomento: «Ascolta tuo padre che ti ha generato, non disprezzare tua madre quando è vecchia» (Prv 23, 22), fino ad asserire che «Chi deruba il padre o la madre e dice: "Non è peccato", è simile a un assassino» (Prv 28,24). : «Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra» (Ef 6, 1-3).
Anche i genitori, però, hanno un obbligo di fedeltà nei confronti dei figli: nel Nuovo Testamento san Paolo rivolge ai padri queste parole: «non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore» (Ef 6,4) e nella lettera ai Colossesi torna sull'argomento: «Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino» (Col 3,21).
La fedeltà tra genitori e figli esige digiuni concreti e digiuni metaforici.
Un genitore, spesso, si sacrifica materialmente e non, pur di dare il meglio ai propri figli. Così pure i figli, se veramente vogliono rimanere fedeli ai propri genitori, affronteranno dei sacrifici per aiutare un genitore in difficoltà, ammalato, anziano.
Ma c’è anche il digiuno della “mentalità”; quello forse più difficile, quello del chinarsi sull’altro per comprenderlo… nonostante non lo si comprenda; quello dello scarto generazionale che tenderebbe a separare i genitori dai figli e i figli dai genitori.
La fedeltà genitori-figli è un riflesso di quella fedeltà tra Dio e la sua prole: Dio è un Padre fedele, così come anche il Verbo Incarnato, il Figlio, si è dimostrato fedele, obbedendo al Padre fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,8).
Incarnandosi come uomo, Cristo stesso ha sperimentato e vissuto anche umanamente la fedeltà di figlio ai propri genitori terreni, fornendo un modello: «E stava loro sottomesso» (Lc 2,51).
c) Fedeltà tra amici
La fedeltà tra amici esige una piena disponibilità a essere sinceri, a condividere gioie e dolori, ad "affiancare" l'altro. Nell’amicizia, a differenza di quanto accade nel matrimonio, non vi è una “promessa pubblica”, un sacramento o un atto civile a sancire degli obblighi reciproci. Tutto è rimesso alla buona volontà delle parti, al desiderio degli amici di rimanersi accanto, di soccorrersi nelle necessità, di consolarsi nei momenti difficili, di gioire dei successi dell’altro.
Tuttavia, proprio l’assenza di “patti pubblici” rende più esposta al rischio la fedeltà tra amici. Si può tradire l’amico per un tornaconto personale (Giuda non tradì Gesù per trenta denari?), si può tradire perché qualcun altro offre “di più” (quanti sgambetti, tra gli amici, per ottenere una promozione sul posto di lavoro!); si può tradire perché ci si lascia soffocare dall’invidia per i successi dell'altro, o per le sue qualità; si può tradire perché si pretende di cambiare l'amico, di imporgli i propri punti di vista e i propri desideri.
Digiunare da tutte queste forme di infedeltà può essere possibile solo se ci rende pienamente conto del vero tesoro che è l’amicizia. Il Libro del Siracide non esita ad affermare che «un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c'è prezzo, non c'è misura per il suo valore. Un amico fedele è medicina che dà vita: lo troveranno quelli che temono il Signore». (Sir 6, 14-16).
Così la Bibbia presenta varie storie di amicizia, e fra queste spicca quella di Davide con Gionata, che si snoda nel primo libro di Samuele. «Davide è celebrato nella storia e nella letteratura per la sua fedeltà all’amicizia, e a volte è perfino considerato come il simbolo stesso dell’amicizia. La Bibbia parla a lungo del legame tra Davide e Gionata, che assurge a prototipo dell’amicizia» [8] tanto da poterla considerare «come sfondo dell’amicizia di Gesù, che per noi resta in primo piano per arrivare a comprendere il disegno di Dio» [9]. L'amicizia tra Davide e Giona riesce a superare lo scoglio delle lotte di potere, non teme di affrontare pericoli mortali e lascia una ferita profonda nel cuore di Davide, quando questi viene a conoscenza della morte del suo amico.
d) Fedeltà sul lavoro
La fedeltà agli impegni lavorativi si rivela un problema vecchio quanto l’uomo, tanto che San Paolo scrive: «chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione» (2 Ts 3,10-11). La fedeltà al lavoro la si potrebbe intendere in una duplice accezione: trovare il modo di rendersi utili alla società, tanto con un impiego retribuito, quanto con altre forme alternative (il volontariato, per esempio, ma anche i "lavori" domestici, o il "lavoro" di studente); svolgere “fedelmente” la propria attività lavorativa, senza barare, nella consapevolezza che ogni truffa - piccola o grande che sia, dal far timbrare a un altro il proprio cartellino, all'incassare tangenti - comportano sempre un danno allo Stato e anche al prossimo.
Il tempo del lavoro è tempo per lavorare, non per divertirsi; il tempo del lavoro è tempo di servizio, non di egoismo; Il tempo del lavoro è tempo che sarà retribuito nel giusto, non che può fare arricchire illecitamente; il tempo del lavoro è tempo in cui trattare tutti con eguaglianza, non in cui fare disparità tra ricchi e poveri, o tra amici e sconosciuti; il tempo del lavoro è tempo che realmente nobilita l’uomo se questi sa mantenersi fedele al proprio compito e alle proprie competenze.
e) Fedeltà dell'uomo a Dio
La fedeltà che deve animare la relazione tra l'uomo e Dio è una fedeltà che riassume tutte le forme di fedeltà umana, sublimandole. Essa presenta i connotati della fedeltà sponsale, perché Dio è lo sposo dell'anima, Gesù è Sposo della Chiesa. Questa dimensione sponsale è alimentata dalla fiducia che, nonostante i tradimenti umani, Dio è uno sposo sempre pronto a perdonare, che sta alla porta e bussa, in attesa che gli si apra la porta (cfr. Ap 3,20).
In secondo luogo, la fedeltà umana ha una dimensione filiale, perché il battezzato assume la dignità di figlio di Dio. In quanto tale, deve ascoltare la voce divina, lasciarsi correggere da essa, e imparare a riconoscerla attraverso la Parola. Infine, nutrirsi di Dio nei Sacramenti.
C'è poi la dimensione amicale della fedeltà. Dio è un amico... il migliore amico dell'uomo. Un amico che non tradisce, un amico che non abbandona, un amico che è stato capace di dare la propria vita. Lo ha detto Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).
Ma c'è anche la dimensione "lavorativa", o, vocazionale, se la si volesse mettere su un piano spirituale. Ogni creatura ha una vocazione nel progetto di Dio, un compito al quale è chiamata. Solo rimanendo fedele alla propria personale chiamata potrà raggiungere il pieno sviluppo dei suoi talenti, e dare il massimo contributo, per essa possibile, nel mondo.
Di chi hai paura?
Se Dio è fedele "sempre", questo suo amore ostinato [10] diventa per l'uomo motivo di fiducia. Ci si può rialzare dalle cadute: Qualcuno non smette di aspettare. L'uomo, pur mantenendo un sano timore di Dio, è chiamato a digiunare dalla paura di una divinità minacciosa, vendicativa, egoista. L'immagine di Dio che scaturisce dalla Bibbia è quella della Fedeltà per eccellenza.
Animata da questi sentimenti santa Teresina compose dei versi che sintetizzano il suo pensiero sul peccato e la misericordia:
«Se avessi mai commesso il peggiore dei crimini,
per sempre manterrei la stessa fiducia,
poiché io so che questa moltitudine di offese,
* non è che goccia d’acqua
in un braciere ardente» [11].
La fedeltà di Dio deve diventare la “sicurezza” umana: Egli vuole l’uomo accanto a Sé, per questo continua a ripetere alle creature:
«Ti ho amato di amore eterno,
per questo continuo a esserti fedele» (Ger 31,3).
[3] Nota n. 6 all'Enciclica Dives in Misericordia di Giovanni Paolo II, in Enchiridion delle Encicliche, n. 8, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II 1978-2003, EDB, 2003, p. 161.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1640.
[10] Ibidem.
[11] «Dio ci ama in un modo che potremmo dire “ostinato”, e ci avvolge della sua inesauribile tenerezza». Così si pronunciò Benedetto XVI, nell’omelia del 26 marzo 2006.
[12] Teresa di Lisieux, Se avessi mai commesso.
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